Citazione da: Federico Botero e la forma:
“Quando si guarda un quadro, importante è capire dove nasce il piacere. Per me è la voglia di vivere che scaturisce dalla fisicità delle forme. Perciò, cerco di creare la fisicità attraverso le forme.”
Intuisco un di più. Un senso di intima percezione della serenità interiore traspare dall’apparente fissità delle immagini, fissità negata poi dalla magnanima ridondanza plastica e cromaticamente appassionata delle figure, quasi rassegnatamente carnali, su sfondi che non attentano all’essenza del giardino segreto dei personaggi.
Repellenti nei tratti, enormi e mostruose nelle forme, - nella comune accezione del bello -, come il Buddha, le sue creature si ristanno, quiete e morbide e osservatrici, e seppur impigliate nel moto perenne delle sfere celesti, si stagliano, regalmente distaccate da una realtà che al loro sentire rimane apparente.
Eppure, la corrente vitale che l’artista trasfonde nelle sue opere, scorre con la potenza di un eros travolgente; le scuote dentro, ed esse rispondono, come una terra che trema e ogni cosa sommuove.
Splendidi, i nudi di donna carichi di erotismo primordiale, dall’incarnato rosastro della pudicizia manifesta attraverso gesti lievi e coperture minime, velate appena, più a segnare una via, una suggestione del piacere, che a occultare arcani femminili.
Il maschio, l’uomo, un’apparizione, a volte marginale, altre di necessario complemento all’esaltazione della femmina carnosa e carnale. In Botero, la femmina non è mai l’Eva peccatrice. Ella tenta con l’innocenza del suo consapevole esistere.
Struggenti, le piccole macule di colore acceso che, con tocchi apparentemente inconseguenti spuntano sulla pelle e tra le chiome maliarde delle sue donne burrose. A mirarle, si spalanca come una voragine di fame atavica, la stessa fame che assicura al pianeta la continuazione della specie.
Piccole mani e piedi incongruenti, mammelle minime e fuori posto che nulla rubano all’abbondanza già piena del corpo intero. L’artista non è, egli stesso, soggetto passivo e l’uomo che è in lui e che si manifesta nelle sue pitture, non anela a succhiare il latte materno da un seno che gli fu negato.
Riconosce la necessità del distacco e immergendosi nella pastosità delle forme che lui stesso partorisce, si nasconde al loro interno, ne trae piacere e consolazione e istiga il maschio a divenire intero, ricongiungendosi alla figura archetipa pre-esistente la Caduta dall’Eden.
Con visionarietà e orgoglio restituisce al mondo, in un impeto di femmineo desiderio di contribuire alla creazione della materia corporea, le due mezze mele, ricomposte in lui attraverso la passione per il piacere che dà vita, espressione indispensabile e imprescindibile per il raggiungimento di un equilibrio tra gli elementi che costituiscono la sostanza dell’universo intero.
Laura Onofri
3 marzo 2011